Arte, ispirazione, emozione, Monet

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Entro nel museo, che già nel nome ha quel non so che di stantio e ingessato, con la musica nelle orecchie. L’addetto all’ingresso mi informa che non è consentito fare foto né usare il telefono in altro modo. Gli spiego che lo uso come ipod, che a me l’arte piace godermela con la musica, e lui resta stupito dalla mia richiesta. Alla fine mi lascia entrare con la mia musica nelle orecchie.

E inizia il mio momento di immersione totale. Sono sola. Monet a me piace assaporarlo, viverlo, perdermici, ritrovarmici, così come feci 16 anni fa in quella giornata parigina tutta mia, passata nel Musée d’Orsay in stato di semi-coscienza, che la sindrome di Stendhal era dietro l’angolo.

Da molto più lontano nasce il mio amore per il pittore delle ninfee, da quel quadro in camera, ricordo di una due giorni a Treviso con mamma e papà. Da lì in poi il legame si è fatto più forte. Se dovessi spiegare quest’amore, le parole chiave sarebbero: ora e io. Ora perché i suoi quadri sono immediati, vivono nel momento in cui sono stati dipinti e in me creano una sensazione di presenza nell’hic et nunc. L’importanza del momento presente, dell’ora, dell’adesso, della vita che scorre in un attimo preciso. La forza della vita nell’istante. Quella forza, questa volta l’ho ritrovata nella neve, scintillante perché accarezzata dal sole, cangiante e immobile nella sua mutabilità. E in quel dipinto mi sono persa per un tempo difficile da determinare. Tutto intorno a me è sparito, “questa stanza non ha più pareti ma alberi, alberi infiniti”. Non mi importa di sapere quale fosse l’ispirazione, dove si trovi il paesaggio dipinto. No, perché quel quadro mi parla, mi racconta di me, della mia vita, mi ha dato le risposte che stavo cercando in quel momento.

Ogni volta è un’esperienza diversa, anche se i quadri sono gli stessi, quella sempre nuova sono io. Ho guardato i bambini di una scolaresca a cui la guida stava spiegando la tecnica pittorica dell’impressionismo. Ho visto i loro occhi vuoti. Avrei voluto chiedere loro: “come ti senti guardando quest’opera? Ti piace?”. Molti rabbrividiranno leggendo il mio articolo, ma per me l’arte resta emozione, brivido nella schiena, adrenalina, cuore che si allarga, polmoni che respirano quell’aria che Monet voleva rappresentare più degli oggetti. Non è importante il movente, non è importante la tecnica, è sorprendente che un dipinto che ha decine, centinaia di anni riesca ancora a com-muovermi, a toccarmi nel profondo. Monet ci riesce sempre. Sono uscita di lì e ho fatto ciò che avrei voluto fare da giorni.

Chissà se anche quei ragazzini hanno avuto lo stesso stimolo verso la vita, o se hanno solo imparato qualcosa in più sulla tecnica.

 

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1 Comment

  1. CioccoMamma 28 Nov 2015 at 20:59

    Ciao quasi quasi ci incontravamo 🙂

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