Il senso di colpa, il ricatto morale, chiamatelo come volete, ha fatto danni enormi in me. La cultura cattolica del comportarsi bene, non deludere gli altri facendo quello che chi mi sta intorno si aspetta da me ha trovato terreno fertile nelle mie insicurezze e mi ha schiacciata.
Da sempre cerco di essere una persona libera, ma fino a qualche anno fa scrollarsi di dosso la responsabilità di avere l’approvazione degli altri è stato impossibile. Ho fatto tutto quello che ci si aspettava da me: sono stata una bambina educata e ubbidiente, una studentessa brillante, una “donna in carriera” motivata e speranzosa e una giovane moglie e mamma attenta e devota.
Poi qualcosa si è rotto e ho capito che quella strada già tracciata per me, che nessuno aveva arato ma che era chiaramente indicata già da quando ero bambina non poteva essere la mia strada. Avevo bisogno di liberarmi di “doveri” verso gli altri e di riempirmi di “diritti” verso me stessa. Vi sembrerà una sciocchezza, ma il tatuaggio che ho fatto un paio di mesi fa è stato il completamento del mio percorso verso la libertà. Avrei sempre voluto tatuarmi, ma sono stata frenata prima da papà che mi ripeteva: “se ti fai il tatuaggio mi dai una delusione” e poi dal marito che mi metteva di fronte all’eternità della mia scelta. Io quel tatuaggio lo desideravo. E l’ho fatto. A quasi 35 anni sono riuscita a dire un no alla mia famiglia. Potrei raccontarvi molti altri momenti che hanno segnato la rottura di quelle catene che ormai erano auto-imposte.
I miei genitori hanno svolto un ottimo lavoro, non lo metto in dubbio e anzi li ringrazierò sempre per avermi insegnato a riflettere, a non prendere per oro colato tutto ciò che mi girava intorno, a essere una donna forte e determinata. I sensi di colpa fanno parte purtroppo, in modo troppo profondo per essere estirpato, della cultura della generazione prima della mia. Quindi se quello è il modello culturale, è davvero difficile scostarsene.
Io sono una mamma diversa, in questo senso, dai miei genitori. Quando mi si chiede cosa immagino per il futuro delle mie figlie, cosa spero per loro, posso solo rispondere “la felicità”. E non c’è felicità senza libertà. La libertà di essere se stesse e sentirsi amate comunque, qualunque cosa si faccia. La libertà di poter contare sui tuoi genitori in qualunque occasione senza avere il giogo. La libertà di dire “io domani mi trasferisco a San Francisco” sapendo di non doversi aspettare musi o tragedie. La libertà di vivere come ti pare. La libertà di scegliere in piena libertà, senza costrizioni o sovrastrutture.
Io ci sono, sono la mamma e lo sarò per sempre. Non mi importa chi saranno, cosa faranno e quanto guadagneranno le mie figlie. Non ho piani per loro. La loro vita non è la mia. Sarò qui, sempre pronta ad accogliere, consolare, incitare, fare il tifo, dare certezza. Sono uno scoglio per loro. Ma loro sono il mare e possono fare della propria vita ciò che riterranno opportuno fare.
La vita è una sola ed è troppo corta per viverla facendo felici gli altri mettendo in un cassetto i nostri sogni e la nostra libertà. Ciò non vuol dire amare di meno.
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