Alcuni videogiochi riescono ancora a stupirmi. Se solo 15 anni fa mi avrebbero detto che su una console della dimensione di quella in bianco e nero su cui giocavo a Tetris avrei potuto “simulare amore e amicizia” non c’avrei creduto.
E invece, 15 anni dopo, ecco tutta la mia famiglia impegnata nelle relazioni sociali dei Mii. Ecco, apriamo una parentesi sui Mii, attrattiva numero uno delle console Nintendo. Già con Wii e poi con DS2, abbiamo creato degli avatar per ognuno dei nostri parenti, divertendoci a caricaturizzare gli elementi più rappresentativi di ognuno di loro. E di noi stessi, of course. L’idea di far uscire i Mii dall’area in cui sono e trasformarli in un gioco è a mio avviso è geniale.
Così, con Tomodachi Life i Mii prendono vita e intrecciano relazioni di amore e amicizia, abitano un’isola che all’inizio è deserta e poi pian piano viene colonizzata e resa abitabile.
Mi è piaciuta la definizione che Nintendo dà di questo gioco, “simulatore di vita” perché connota chiaramente che cosa è: bellissima l’idea di far interagire i Mii ma soprattutto la possibilità che ognuno di loro possa “decidere” con chi fare amicizia e con chi no, come in uno specchio della vita vera. Ciò che fa ridere le mie figlie è la possibilità che si creino relazioni inaspettate sia in positivo che in negativo: i Mii rappresentano delle persone reali, che le bimbe conoscono e a cui vogliono bene. È ironico vedere che le relazioni sociali all’interno del gioco sono diverse tra queste persone rispetto a quanto avviene nella realtà :-).
Abbiamo giocato insieme a Tomodachi Life, perché le bambine non sono ancora in grado di farlo da sole e da ciò che ho potuto osservare il gioco stimola il rispetto reciproco e la formazione di relazioni sane e durature.
Come sempre, la moderazione nel gioco è fondamentale, ma credo che Tomodachi Life sia uno di quei casi in cui i videogiochi trasmettono valori positivi.
Evviva!
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