Silenzio. Fuori nevica. Anche i rumori della città oggi sono attutiti. I respiri profondi delle bambine che dormono mi arrivano all’orecchio. La neve di fuori è anche in me.
Una profonda voragine si è aperta nel mio petto, tutta l’adrenalina degli ultimi mesi ha lasciato il posto ad un’immobilità surreale.
La mente vaga, incapace di trovare spiegazioni a situazioni più grandi di noi. Una valanga si è impossessata delle nostre vite, un ciclone è passato, ci ha risucchiati nel suo vortice e ci ha risputati fuori, lasciandoci storditi e malconci.
Ora è il momento di rimettere insieme i cocci, leccarsi le ferite e guardare verso l’orizzonte.
O forse non è ancora il momento di farlo.
Questo immobilismo ha un sapore agrodolce, questa neve che scende attutisce il dolore e la rabbia.
E per noi, che viviamo tutto a 1.000 e buttiamo il cuore in tutto quello che facciamo, il congelamento delle emozioni di questi giorni è sconosciuto, agghiacciante e spaesante. Incapace di provare qualsiasi sensazione, sono in balìa di pensieri e arrovellamenti. Stordita e svuotata.
Un nuovo vento arriverà, spazzerà via tutto questo e lascerà un brutto ricordo e una piccola pietra sul cuore. Solo il tempo lo potrà fare. E a noi rimarrà una cicatrice in più sul cuore, un monito per il futuro a non fidarsi mai più delle persone, a crescere e inaridirci ancora un po’ di più.
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