Quando Cristiana mi ha chiesto di scrivere un post su hobby e lavoro pensavo fosse facilissimo. Mi son detta è la mia storia, ci impiego poco. Non è stato così.
Sono stata dibattuta se scrivere in modo entusiastico sì, si può fare o no, lasciate stare è troppo dura.
A distanza di qualche anno dall’aver scelto la libera professione, nello specifico facendo l’artigiana, mi è ancora difficile fare una valutazione univoca di quest’esperienza.
Inutile dire che lo scenario economico degli ultimi quattro anni ha avuto un’influenza pesante sull’andamento delle attività, ma è anche vero che da questi periodi tormentati nascono nuove opportunità.
In un interessante articolo di Repubblica.it, il sociologo De Masi afferma che il futuro è in mano agli hobbisti, ovvero
“…bisogna trovare mestieri il più creativi possibile e le attività creative, per eccellenza, sono gli hobby. Ridurre il lavoro e farne uno il più vicino possibile al proprio hobby…”
per uscire dalle criticità economiche del nostro Paese e non solo.
Non riuscendo a fare un vero bilancio, ho deciso di sottolineare solo alcuni temi di questo argomento.
La mancanza di lavoro (quello classico, da dipendente) ha spinto molte persone (donne e uomini) a usare il proprio hobby come fonte primaria di sostegno economico. Non sempre però questo ha significato entrare nel mondo del lavoro. In molti hanno comunque deciso, per questioni di convenienza fiscale, di restare nel cono d’ombra (che la legislazione italiana permette) dell’hobbista, quindi niente partita IVA, INPS, INAIL, tasse, costi di commercialista, ecc.
Altri, più coraggiosi (o incoscienti) hanno deciso che è giusto strutturarsi come un’azienda (anche di una sola persona) diventando persona giuridica, facendosi carico di tutti gli oneri fiscali sopra descritti.
Analizzando le due posizioni è chiaro che si trovano pro e contro in entrambe, ma resta di fatto che nella prima non fai parte del mondo del lavoro nella seconda sì, oneri e onori.
Ho deciso di mettere in risalto questo aspetto perchè nel mare magnum dei discorsi intorno all’hobby come lavoro non è mai, a mio avviso, evidenziato a sufficienza.
Ovviamente non esprimo un giudizio sulle due categorie ma metto in risalto la differenza. Oggi moltissime piattaforme on line, festival, fiere, ecc. permettono agli hobbisti di commercializzare le proprie creazioni, altra cosa è gestire i conti di un’azienda.
Altro elemento poco dibattuto sul tema è capire cosa si sa fare e delegare.
Insieme all’analisi di fattibilità per aprire e promuovere un’attività (ricerca di mercato per valutare posizionamento, business plan, eventuale richiesta prestiti o business angel, timing delle azioni, comunicazione e pubblicità) è necessario capire quali siano le proprie abilità.
Nessuno di noi è bravo in tutto, a prescindere dalla nostra buona volontà e caparbietà. Pertanto sarebbe davvero molto utile fare un “bilancio di competenze” per capire in cosa si può eccellere (creatività, organizzazione, capacità relazionali, ecc.) e in che cosa si necessita di rinforzo. In tal caso è importante mettere a budget dei corsi di specializzazione o capire se si possono delegare a terzi alcune attività (previa retribuzione, ovviamente!).
Ultimo tema su cui mi interessa porre l’accento è che penso sia molto utile confrontarsi con gli altri, chiedendo e offrendo aiuto. Questo facilita anche la risoluzione del punto precedente (non so fare una cosa e chiedo ad altri), mantiene aggiornati, attenti e flessibili nel variare rotta se necessario.
Le mamme hanno sperimentato sulla loro pelle quanto sia importante avere una community ed è quindi immaginabile come possa esserlo anche per la propria attività lavorativa (spesso le due categorie si sovrappongono).
Forse non tutti condivideranno i temi che ho espresso e mi piacerebbe avere i vostri pareri: cosa ne dite?
Articolo a cura di Elena Augelli
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