Dov’è l’emozione?

Era tutto così semplice, allora. Avevi un’emozione, forte, lacerante, dolorosa, ti esplodeva il cuore di felicità. Dovevi solo seguire quell’emozione e agire di conseguenza. Già, forse non era facile neanche allora, perché seguire il cuore richiedeva coraggio. Io in fin dei conti sono sempre stata quella dei colpi di testa, delle pazzie del cuore. Saltare su un treno senza sapere se ad aspettarmi alla Gare de Lyon lui ci sarebbe stato, decidere alle 19 che quella canzone al concerto in piazza Duomo alle 22 non potevo perdermela e farmi 360 km da sola per 4,37 minuti di lacrime che scorrevano a fiumi.

Il coraggio di seguire le mie emozioni l’ho sempre avuto, a costo di passare per una squilibrata – che poi se stiamo a guardare tanto equilibrio non l’ho mai avuto…

Il coraggio oggi non basta più. O meglio non basta più quel coraggio dei 20 anni. Oggi le emozioni sono sotterrate sotto metri di responsabilità, sepolte vive sotto i colloqui con le maestre, la pila delle bollette da pagare sul mobile dell’ingresso, le aspettative di quegli occhi che ti guardano come a chiederti perché tu sei Tu, gli appuntamenti dall’avvocato e le attese dell’idraulico, l’agenda sempre troppo piena di impegni che non sai perché devi rispettare ma lo fai.

Quel cuore che continua a battere per un tramonto, che si emoziona tra le pagine di un libro, che le pazzie che ha sempre fatto vorrebbe continuare a farle, non sa perché ma da quella buca in cui è stato dimenticato non ha la forza di uscire. È vivo, ma ha ridotto al minimo le sue funzioni vitali, per non morire. Un coma vigile, qualche battito irregolare qua e là, giusto a ricordarsi che ancora è lì. Un giorno, con un bicchiere di vino in mano e tanti passi nelle gambe, mi sono accorta che il tempo non mi aveva cambiata e che ero ancora quella Me di 15 anni prima, di un’epoca Avanti Bambine. Il coraggio mi diceva di prendere un badile e sollevare in fretta la terra, di gridare in cerca di aiuto per salvare quel cuore. Forse non era coraggio, era pazzia. Così, quella sera stessa, ho iniziato da lontano a creare un tunnel che facesse arrivare aria a quel cuore, per permettergli di non morire. L’ho tenuto in vita, almeno consapevole della sua esistenza, commossa perché era stato lì paziente ad aspettare che io gli rivolgessi di nuovo attenzione. Piano piano gli sto allargando la strada per uscire, per tornare al centro del mio petto, a battere all’impazzata come allora, ascoltando però i saggi consigli dell’esperienza.

Perché non si può vivere senza l’emozione, ora lo so.

 

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