La seconda vita dei giocattoli – e delle mamme

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Sono sola, di nuovo: le bambine sono a scuola, la mamma al lavoro. Abbasso gli occhi e vedo il tulle della mia gonna che, anche se bucato in alcuni punti, è ancora del rosa intenso che tanto aveva fatto brillare gli occhi di Cecilia. Me lo ricordo bene, quel pomeriggio, quando la vidi svoltare l’angolo per mano a quella signora con il volto turbato, Cecilia, avvolta nella mantellina rossa che la faceva assomigliare a una bimba delle fiabe. Ripetevo tra me e me “ti prego, sceglimi, scegli me, voglio diventare tua amica“. Non so se lo sentì, che io avevo già scelto lei. Non so come andò, ma la cosa importante è che 10 minuti dopo io ero tra le sue braccia, avvolta da quel coloratissimo cappottino e dalle risate felici della mia nuova amica. Anche la signora che la accompagnava sorrise, di un sorriso colmo di gratitudine per la ventata di spensieratezza che Cecilia ed io le stavamo regalando. Quanta gioia quel giorno!

Le gambe lunghe, avvolte in candidi collant, mi sorreggono ancora, grazie alle scarpette da ballo che non ho mai smesso di indossare nonostante quella volta in cui Sofia e Cecilia litigarono e usarono me come oggetto contundente. Che volo che feci! Cecilia scoppiò a piangere, ricordo solo di essere stata più angosciata per il suo pianto che per il male che sentivo alla spalla. Il mio braccio si era staccato. Ricordo anche le parole secche e arrabbiate della mamma, che sgridò entrambe e uscì dalla stanza. Cecilia mi prese, mi rimise il braccio al suo posto. Ricordo, quante coccole quella notte! Dormimmo abbracciate fino al mattino.

Da qui vedo, da giorni che ho smesso di contare, il piumone con tanti cuori rosa e la cucinetta con cui le due sorelline diventano chef stellate. A volte mi hanno obbligata ad assaggiare piatti dall’odore disgustoso. Non volevo che ci rimanessero male, non sono proprio brave a cucinare. Io però ho fatto loro i complimenti perché avevo visto con quanto amore avessero scelto i prodotti, cotto, rimestato, impastato. Tutto questo, solo per me e alcuni altri amici. “Inanimati“, la signora con gli occhi tristi un giorno ha usato questa espressione riferendosi a noi giocattoli. La mia amica, invece, lo sa che non abbiamo nulla di inanimato, che siamo capaci di amare, soffrire, provare gioia, arrabbiarci, muoverci. Già, muovermi.

Io non posso più muovermi.

È successo quella sera, quella in cui la mamma non c’era e Cecilia era triste. Lei è sempre cupa quando la sua mamma va via, anche se ogni volta la signora con il viso scuro le sussurra – io la sento, ci ho sempre sentito molto bene, anche dopo che le gambe hanno smesso di funzionare – che quando sono lontane Cecilia è nel cuoricino della mamma e la mamma è nel cuoricino di Cecilia, bisogna solo che guardi dentro il suo cuore. Io lo so che la mia amica ci crede, ma vorrebbe che la mamma fosse anche fuori dal cuoricino, lì, vicino a lei. La signora mentre lo dice, però, si illumina. Forse serve più a lei che alla sua bambina, quella riflessione. Forse.

Cosa stavo raccontando? Ah, sì, quella sera Cecilia mi ha presa in braccio e mi ha chiesto di ballare per lei, premendomi al centro della schiena. Io ho pensato che avrebbe avuto il suo sguardo d’amore per me, ma invece le mie gambe non si misero a danzare, la musica non partì. La baby-sitter provò a darmi pacche, mi controllò, mi rigirò, ma niente. Non riuscii, per la prima volta, a far sentire Cecilia la ballerina che voleva diventare da grande.

Da allora sono qui, su questo letto, in attesa di diagnosi. Gli adulti non se ne ricordano, Cecilia chiede spesso di occuparsi di me, nessuno se ne cura. Ma, ecco, cosa sta succedendo? È arrivato il papà, finalmente qualcuno mi solleva da questa distesa di cuori! “Vediamo cos’ha questa ballerina!” sono le ultime parole che sento.

Mi risveglio, mi sembra di aver dormito una settimana. Sono tutta indolenzita, ma sento un’energia nuova, un formicolio che parte dal centro della mia schiena. “Vedi, bastava cambiare le pile, la tua amica aveva esaurito le energie. Come mamma – ti ricordi quando era sempre triste? Ecco, alla tua ballerina abbiamo cambiato le batterie come ha fatto il signore che si è preso cura della tua mamma e ce l’ha restituita entusiasta e pronta a vivere.”

Sono emozionata, mi sto per esibire davanti a un pubblico numeroso stasera, per la prima volta. Cecilia mi preme in mezzo alla schiena e io inizio il mio spettacolo. Non c’è niente di più bello per me, che vedere gli occhi della signora, colmi di vita e felicità, e la sua bocca aprirsi in una radiosa, liberatoria, risata. Cecilia guarda me, poi di nuovo lei, poi me e inizia a ridere con la sua mamma, si unisce anche il papà, anche Sofia. E io, io non sono mai stata più fiera e appagata.

 

 

RESCUE RONDA, STUFFY, LAMBIE, DOC

Questo racconto l’ho scritto io, per la mia bambina, che tanto ama Dottoressa Peluche e che sta seguendo, in questi giorni, la quarta serie in onda su DisneyJunior. Mi sono ispirata a Dottie, alla cura e all’amore che ha per i giocattoli di cui si occupa. Sì, è anche il mio cartone animato preferito. È allegro, delicato e insegna ai bambini a prendersi cura degli oggetti come se fossero persone. Avrei da dire molto altro su Dottoressa Peluche, ma vi lascio giudicare da soli, con un tuffo in PelucheLandia.

 

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