Ascoltare, poi parlare

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Parlare, confrontarsi, ascoltare, riflettere.

Quanto poco tempo dedichiamo ogni giorno a queste azioni! Ho trascorso gli anni del liceo a dialogare di filosofia, religione, fisica, senso profondo della vita. Le serate che ricordo con più affetto sono proprio quelle passate su un divano, a formarmi un’opinione, imparare l’arte della retorica, grazie anche ai cocktail, e cambiare idea ogni 10 minuti. Da allora, infatti, la mia caratteristica è quella di ascoltare gli altri, in modo così aperto da arrivare spesso a modificare il mio credo dopo averli sentiti o letti. Se si guarda la situazione da un’altra prospettiva, cosa che fino ad oggi ho fatto con zelo, sembra che io abbia idee talmente superficiali e poco radicate da essere spazzate via da un discorso ben assestato. Vedetela come volete.

Quello che mi è sempre apparso come un mio limite enorme e insormontabile, mi sembra ora una risorsa. Perché più vivo immersa nei social e nelle conversazioni, più mi accorgo che ascoltare gli altri è dono di pochi, pochissimi. Tutti hanno un’opinione, tutti sono pronti a battersi, anzi a battere sui tasti del pc, per difenderla. Ma nessuno, mai, è aperto ad ascoltare le motivazioni degli altri per, chi lo sa, magari cambiare la propria, maturando ancora un po’ di più. Rileggendo mi rendo conto che spesso ascoltare gli altri significa anche sorbirsi tesi astruse, ipotesi superficiali, idee senza alcun fondamento. Ma smettere di ascoltare significa assomigliare sempre più a queste persone. Chiudersi nel proprio bozzolo di convinzioni. Ascoltare, poi parlare. Questo, solo questo, ci può rendere migliori.

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