Non mi accontento mai, non riesco mai a godermi quello che ho seminato. Sono sempre alla ricerca di qualcosa che non ho e più la sfida è complessa e più il mio cervello entra in loop.
Sono quella delle enormi passioni, del “senza la tal cosa niente ha un senso” e non mi accorgo che così facendo la vita mi scorre di fianco, senza che niente mi renda davvero felice. Mi affanno e corro per far sì che chi mi ama non soffra con me, mettendo in apparenza i miei desideri in secondo piano. Ma poi ci penso, ci ripenso e mi auto-infliggo musica strappalacrime e struggenti riflessioni. Con il sorriso.
Non la dimenticherò mai quell’insegnante, che aveva capito così poco di me e che mi costrinse a capirmi così nel profondo quando, irritata dal mio sorriso costante, sibilò “dovrai toglierlo, prima o poi, l’abito della carnevalata e affrontare la Vita”. No, quell’abito non l’ho ancora abbandonato, pur vivendo una Vita vera e a tratti complicata, pur combattendo o assecondando i miei demoni interiori. È un abito, appunto. Tolto quello, il corpo è senza pelle, vive le emozioni a mille e non è in grado di termoregolarsi. A volte viene pervaso di fiamme, a volte il gelo lo assale. Ma fuori, quell’abito rassicurante e colorato è la maschera di una persona stabile, morbida e accogliente, che mette davanti alla propria la felicità degli altri.
A volte poi il vestito si solleva e lascia intravedere le cicatrici, ma io mi affanno a rimetterlo al suo posto, senza creare scompiglio. I miei occhi, però, non mentono. Mai.
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L’altalena può divertire, distruggere e far assaporare attimi perfetti. Basta non spingere troppo in alto.